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Suicidi adolescenziali, “ragazzi sempre più connessi, ma sempre più soli”

Dopo i recenti casi di suicidi verificatosi in provincia di Ragusa, noi di Ialmo abbiamo parlato con la psicologa Simona Mirabella

(13 febbraio 2021)

Negli ultimi mesi abbiamo assistito all’aumento degli episodi di autolesionismo e suicidi tra bambini ed adolescenti. A livello globale, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, i suicidi si collocano al secondo posto tra le cause di morte nella fascia di età 15-29 anni. In Italia sono la seconda causa di morte per i giovani italiani dai 15 ai 24 anni. Nelle ultime settimane anche la  provincia di Ragusa è stata scossa da immense tragedie, inspiegabili suicidi le cui vittime sono stati proprio i  giovanissimi. Lo scorso 14 gennaio un ragazzo vittoriese di 23 anni si è gettato dal balcone di  casa, poco prima aveva postato una foto su Instagram con la didascalia “The end”. Dopo quasi 2  settimane, i carabinieri di Ragusa hanno salvato la vita ad un 20enne che stava per togliersi la vita  impiccandosi nella propria abitazione, salvato in extremis dall’allarme lanciato dal suo coinquilino.  L’ultimo dei suicidi in ordine cronologico risale a pochissimi giorni fa, quando una ragazzina di 12  anni si è impiccata all’interno della sua abitazione, nelle campagne tra Vittoria e Pedalino (frazione  di Comiso). 

Simona Mirabella

Noi di Ialmo abbiamo parlato del delicato tema dei suicidi adolescenziali con Simona Mirabella, psicologa dell’età evolutiva, insegnante  di Mindfulness e di formazione MSC (Mindful Self-Compassion). 

Dottoressa Mirabella, cosa può spingere un adolescente a compiere un gesto estremo? 

“La fascia di età di cui parliamo è molto fragile, ricca di cambiamenti, di conflitti, insicurezze e  anche un forte bisogno di autonomia. Sia l’adolescenza che la pre-adolescenza sono il tempo  della scoperta di sé stessi, degli altri, delle relazioni e del mondo intero, e proprio in questa fase sono importanti i giudizi degli altri e le valutazioni dei coetanei. Il problema del suicidio in questa  fascia di età ha a che fare proprio con il processo di costruzione del senso di sé, in rapporto a  queste relazioni che lo espongono, inevitabilmente, ad una maggiore vulnerabilità. Fragilità, senso di inadeguatezza insieme ad una mancanza di prospettive future, e soprattutto il sentirsi “senza  speranza” (hopelessness), lo porta a sperimentare sentimenti di angoscia e di dolore. È di fronte a questo dolore, insopportabile, che si scaglia il ragazzo, per eliminarlo, perché non riesce a trovare  altre valide alternative. Il suo, dunque, non è un desiderio di morte, ma una cessazione immediata  di un dolore mentale insopportabile”  

Questi episodi di cronaca impongono una riflessione accurata sulle conseguenze del lockdown.  Una situazione di disagio che si riflette soprattutto sugli adolescenti.. 

“Le conseguenze della pandemia hanno rilevato una sensazione di solitudine tra i giovani che  hanno risentito maggiormente delle restrizioni e delle privazioni che hanno praticamente azzerato  la loro vita sociale, in un periodo così delicato della loro crescita. Un aspetto da prendere in considerazione è proprio questa sensazione del sentirsi soli (loneliness)  che è importante distinguere dalla solitudine e dall’isolamento sociale. E spiego il perché: la  solitudine riguarda lo stare da soli senza la percezione d’isolamento, per una ricerca di benessere e  di tranquillità, godendo così anche del momento; l’isolamento sociale implica un distacco  intenzionale dal mondo circostante, spesso correlato a stress, ansia..; invece quando parliamo del  “sentirsi solo” dei giovani facciamo riferimento ad una percezione di discrepanza tra le relazioni che si desidera avere e quelle che in realtà si vivono. Ora più che mai si avverte questo paradosso: una persona può sentirsi sola anche se sta in mezzo  agli altri, soprattutto di fronte a questa iper-connessione dovuta a tutti i social network“. 

A proposito di social network, molti ragazzi cadono vittime dei giochi pericolosi della rete, come  il caso della bambina di Palermo deceduta in seguito ad una challenge su Tik Tok. Che  consiglio si sente di dare ai genitori? 

L’utilizzo di questi dispositivi sta modificando il modo in cui bambini e adolescenti apprendono, giocano e interagiscono tra loro. La maggior parte di loro preferisce trascorrere il proprio tempo  libero utilizzando uno strumento digitale piuttosto che stare all’aria aperta a giocare. Penso che non bisogna demonizzare l’uso in sé, che per molti versi rappresenta una risorsa, ma porre attenzione sui rischi di un uso eccessivo e inappropriato sulla salute fisica e mentale nei ragazzi: disturbi del sonno, riduzione dell’attenzione e della creatività, ansia, depressione, sedentarietà,  isolamento dalla realtà circostante, per dirne alcuni. Per questo, il compito educativo dei genitori e degli adulti in genere è quello di accompagnare, guidare e suggerire a questi ragazzi le buone pratiche per un uso consapevole, con precauzione e  responsabilità, dosando i tempi e con un’attenzione particolare alla sicurezza”.  

Nel caso in cui un giovane viva una situazione di disagio, ci sono dei segnali che possano  mettere in allerta i genitori? 

“Il suicidio non è un atto impulsivo, ma spesso è un atto meditato nel tempo, per questo è  importante cogliere alcuni segnali di disagio. L’eccessivo ricorso alle realtà virtuali come unico mezzo di relazione, cambiamenti nel rendimento scolastico o nelle abitudini alimentari, atteggiamento di apatia e di indifferenza a ciò che lo circonda, condotte autolesive come tagliarsi, possono essere associati al rischio suicidi in adolescenza. Molto spesso si tratta di ragazzi che non hanno la forza di tollerare una delusione, di accettare un  fallimento, di sopportare un rifiuto, che hanno paura di deludere i genitori, con ansia da  prestazione, vittime di fenomeni come bullismo o cyberbullismo. Mi piacerebbe fare a questo  punto un breve riferimento ai fattori protettivi che possono migliorare la qualità di vita di questi ragazzi. Tra questi una buona comunicazione con gli adulti di riferimento, non solo nel contesto  familiare ma anche scolastico e sociale; la consapevolezza delle proprie emozioni, in particolare di  quelle più difficili, come la vergogna e il senso di colpa; e la resilienza cioè la capacità di fare fronte  alle avversità e di affrontare gli eventi stressanti riorganizzando in maniera positiva la propria vita. Per concludere, è la connessione con noi stessi e con gli altri che ci permette di sentire e sentirci: se riconosciamo  che la nostra condizione di essere umani significa “essere imperfetti” e che “siamo tutti sulla  stessa barca”, ciò può farci sentire meno soli (senso di comune umanità); se riconosciamo la nostra sofferenza, senza combatterla (mindfulness), e riusciamo a portarci conforto e  comprensione (gentilezza amorevole) allora siamo sulla buona strada per la Self-compassion.  Questo è l’allenamento più potente che possiamo offrire ai nostri ragazzi per migliorare  enormemente la qualità delle loro relazioni negli anni più vulnerabili della loro vita”.

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