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Ragusa, 99 anni fa la strage di piazza San Giovanni ad opera delle squadre fasciste di Pennavaria

L’emergenza coronavirus non permette manifestazioni, ma la memoria dei tre braccianti uccisi durante un pacifico comizio socialista va tenuta viva

(9 aprile 2020)

Novantanove anni dopo l’eccidio compiuto dai fascisti guidati da Filippo Pennavaria (a cui pure la città di Ragusa è ancora devota con la toponomastica e non solo) la commemorazione, per la prima volta nell’era repubblicana e democratica, non ammette raduni o manifestazioni.

Ma a ricordare ciò che non va dimenticato non mancano iniziative e due riflessioni pubbliche. Quella dell’Anpi e di un gruppo di associazioni.

“Nonostante l’emergenza da covid-19 non ci permetta di riunirci – scrive l’Anpi iblea, in una nota del suo presidente provinciale Gianni Battaglia – è giusto e opportuno ricordare la data del 9 aprile del 1921, in quella primavera che tardava ad arrivare, l’eccidio fascista che provocò la morte di tre lavoratori braccianti: Rosario Occhipinti e Carmelo Vitale, rimasti a terra in piazza san Giovanni e la morte di Rosario Gurrieri avvenuta dopo qualche settimana.

Rievocare, per sensibilizzare il tempo attuale con un vivo e costante richiamo per salvaguardare, guardando al passato, un bagaglio di esperienze utili a evitare ripetizioni di tragici eventi. Il clima era quello delle intimidazioni, violenze, scorrerie che venivano perpetrati nei confronti degli operai, dei braccianti e dei democratici. Infatti, già qualche mese prima, il 4 novembre 1920, i fascisti locali, avevano tentato di assaltare il comune rosso a guida socialista.

Il 9 aprile era una giornata in cui i braccianti, riuniti a piazza San Giovanni – Ragusa, aspettavano il comizio del deputato socialista Vincenzo Vacirca, ma nell’aria fredda di una primavera tardiva, si avvertiva la sospettosa presenza gelida dei fascisti. Infatti, arrivarono provocando la piazza e si scatenò l’inferno. I fascisti incominciarono a sparare, mentre la polizia stava a guardare.  Un bilancio pesante, oltre 50 feriti, in piazza c’erano anche donne e   bambini, e il sangue si sparse sul basolato. La gente scappò ma i fascisti continuarono liberi a percorrere le vie di Ragusa. Non si fermò la loro attività violenta e l’indomani vennero attaccati i luoghi simbolo delle sinistre e dei socialisti, bruciando la sede della Camera del lavoro. Anche il municipio venne assaltato e l’amministrazione comunale fu costretta a rassegnare le dimissioni. Altre amministrazioni della provincia furono obbligate a dimettersi perché costrette dalla violenza squadrista dei fascisti coordinati e ispirati da Filippo Pennavaria”.

Sulla necessità di commemorare la strage intervengono anche il gruppo anarchico di Ragus, l’organizzazione sindacale Cub, Confederazione unitaria di base, il comitato di base No Muos Ragusa e l’Usb confederale provinciale -federazione per il sociale, coordinamento lavoratori agricoli. “Le squadre fasciste, sotto la direzione di Filippo Pennavaria e della borghesia agraria iblea, dipingevano col sangue – affermano in una nota – il cammino del fascismo: dopo Ragusa toccherà a Modica nel mese di maggio, ma tutti i paesi del circondario vedranno violenze, incendi delle leghe e camere del lavoro, imposizione delle dimissioni alle amministrazioni comunali socialiste. Dal 2002 commemoriamo le vittime del fascismo ibleo sotto la lapide posta nella stessa piazza teatro del vile eccidio; quest’anno non potremo apporre la nostra corona di fiori, ma vogliamo ugualmente che questo anniversario non passi in silenzio. Il ventennio che aveva inizio con il sangue dei braccianti, dei lavoratori e degli antifascisti, con il carcere, il confino e l’esilio, fu per l’Italia una lunga quarantena in cui un’intera popolazione venne privata dei più elementari diritti (di riunione, di organizzazione, di sciopero, di partecipazione alla vita della società), venne strumentalizzata e piegata alla volontà di un regime che basava il suo consenso sulla paura e sulla diffusione dell’odio verso nemici inventati di sana pianta: gli africani, gli ebrei, gli antifascisti, gli omosessuali, i rom, e venne cacciata in guerre sanguinose (Africa, Libia, Spagna, seconda guerra mondiale) che diedero il colpo di grazia a 40 milioni di italiani stremati e terrorizzati.

La libertà non è una merce che può essere scambiata con “beni” come la sicurezza, la salute, il lavoro: essa è la linfa che deve sempre alimentare ogni fase della nostra vita; è il metro con cui misurare le decisioni di chi governa e comanda. Senza libertà, eguaglianza, giustizia sociale, non c’è benessere, salvaguardia della salute, sicurezza per nessuno”.

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