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Lucia Sardo e Luigi Tabita: “Con ‘La Rondine’ portiamo a teatro la lotta per i diritti civili”

Ad un anno dal suo debutto, lo scorso 26 aprile al Teatro Stabile di Catania, lo spettacolo torna da dove è partito, concludendo un fortunato tour nazionale con una serie di repliche che andranno in scena fino al 28 aprile

(24 aprile 2019)

“Cos’è che ci rende umani? Di tutto quel che siamo e che facciamo, cosa credi definisca realmente la nostra umanità?” Domande a cui prova a dare risposta “La Rondine” di Guillem Clua, lo spettacolo prodotto dal Teatro Stabile di Catania che, ad un anno esatto dal suo debutto, lo scorso 26 aprile al Teatro Stabile di Catania, torna da dove è partito, concludendo un fortunato tour nazionale con una serie di repliche che andranno in scena fino al 28 aprile. Ad incarnare i personaggi principali, due splendidi interpreti siracusani, l’attrice e regista Lucia Sardo, indimenticata interprete di Felicia Impastato nel film “I cento passi“ e di molte altre pellicole di successo e l’intenso Lugi Tabita, attore di grande talento che alterna il suo impegno tra piccolo e grande schermo con la passione per il teatro e l’impegno civile.

Sulla scena fanno rivivere il dramma ispirato all’attacco terroristico al Bar Pulse di Orlando in Florida, negli Stati Uniti, che, nella notte tra l’11 e il 12 giugno 2016, coinvolse in una sparatoria più di un centinaio di persone. Le vittime accertate alla fine furono 49, compreso il killer che scatenò la strage, di probabile matrice omofobica. Dalla realtà al sipario, ritroviamo due anime contrapposte per carattere e scelte di vita, Marta e Matteo: lei una severa maestra di canto, lui un cantante che le si rivolge allo scopo di migliorare la propria tecnica vocale per cantare ad una commemorazione per la madre, scomparsa di recente. Mano a mano che la lezione procede, i due personaggi cominceranno a svelare dettagli del loro passato, destinati a provocare uno scontro-confronto che li porterà a scoprire verità terribili. Rivelazioni difficili da sopportare ma ormai verbalizzate e quindi emerse dal buio del ricordo, un mix di emozioni che coinvolge in un crescendo attori e pubblico presente in sala. De “La Rondine” abbiamo parlato con i protagonisti, Lucia Sardo e Luigi Tabita.

Lucia, a cosa pensi che sia dovuto il successo del vostro tour?

Il successo è stato decretato dal pubblico che, alla fine dello spettacolo, non si limitava ad applaudire ma ci diceva “grazie”, e quando ti senti dire così vuol dire che hai fatto bene. È uno spettacolo che ha generato piccoli “miracoli”, alcune persone dopo averlo visto sono riuscite a fare coming out con i propri familiari, altre hanno portato i propri genitori a vederlo insieme. Questa dovrebbe essere la vera funzione del teatro: tradurre in emozioni ciò che si vive nella vita quotidiana. 

Che donna è Marta? 

Marta non è solo una madre, è anche una professionista, una maestra di musica, una donna colta che conosce il mondo, ma nonostante questo ha voluto ignorare il figlio, non ha voluto conoscere chi era realmente. Una dinamica che ritroviamo facilmente in molte altre storie, non necessariamente legate all’omosessualità: quanti di noi conoscono davvero i propri figli? Chi sono? Cosa desiderano? Questo è uno spettacolo del “non detto” e del rimpianto, della nostalgia del non poterlo fare più. Una critica e un’autocritica per genitori e figli che il pubblico sente molto sulla propria pelle, e ci rimanda alla fine con un applauso e il ringraziamento per averli fatti riflettere. 

Indubbiamente viviamo in un periodo in cui assistiamo al riproporsi di intolleranza e discorsi d’odio verso il “diverso”. La storia che raccontate sembra invece andare nel verso opposto? 

Dal nostro spettacolo emerge anche un altro aspetto che ritengo fondamentale: il valore della comunicazione. Marta e Matteo si urlano addosso di tutto ma non smettono di comunicare, rimangono in ascolto l’una dell’altro, noi spesso litighiamo ma lo facciamo solo per sfogarci, non ci ascoltiamo!

Quindi è come se non volessimo conoscere il punto di vista dell’altro? 

Esattamente! A scuola di recitazione è il primo esercizio che faccio fare ai miei allievi, chiedo loro di descrivere ciò che vedono dal proprio angolo della stanza, che rimane sempre la stessa ma ognuno la descrive in modo diverso, perché diverso è ciascun punto di vista. Se in quel momento c’è ascolto, ognuno capisce il punto di vista dell’altro e ci può essere riconciliazione. Il nostro spettacolo lo definirei così, dell’ascolto e della riconciliazione che serve a tutti.

Lei è attrice, regista, insegnante di recitazione, ma non ha mai rinunciato ad essere anche un’attivista per i diritti delle donne, perché?

Per me il teatro ha un funzione civile, sia quando vado a vederlo sia quando lo faccio. Per me è un’esigenza, mi piace raccontare le donne perché o non lo fa nessuno o sono gli uomini che le raccontano dal loro punto di vista. Lo faccio col mio spettacolo “La Nave delle spose” che metto in scena in maniera particolare, dalla tradizione siciliana dell’Opera dei pupi. Io mi sono fatta costruire delle “Pupe” per raccontare le spose per procura di una volta, le donne emigranti che partivano per l’America in cerca di fortuna. Lo porto in giro nei teatri e soprattutto nelle scuole, perché è un’occasione per parlare di femminicidio e violenza di genere, proprio perché la violenza ha tante sfaccettature, non c’è solo quella fisica, ce n’è una più subdola, che non si vede: quella morale e psicologica. Bisogna parlarne per riconoscerla e combatterla!

Luigi, tu sei co-protagonista de “la Rondine”, testo tradotto e rappresentato in molti paesi del mondo con al centro temi di scottante attualità quali, l’omofobia, il terrorismo e l lotta per i diritti civili contro ogni pregiudizio…

La prima volta che ho letto il testo sono scoppiato in lacrime, perché è una storia molto forte ma narrata con un linguaggio semplice. Credo che sia proprio questa l’abilità di Guillem Clua: trattare temi complessi con un linguaggio comprensibile a tutti, in maniera da invitare lo spettatore alla riflessione. È uno spettacolo quasi catartico che, essendo Clua un drammaturgo e un autore televisivo, ha dei ritmi veloci con continui colpi di scena, in più propone un’esplorazione dei personaggi senza prenderne le parti.

Chi è Matteo? 

Se, da una parte, troviamo Marta che è una donna inaridita dalle vicende della vita, da certe sue scelte, dai troppi no, dati e ricevuti, dall’altra troviamo Matteo che è l’esatto contrario, un vero ciclone di energia e gioia di vivere. Lui è un uomo risolto, vive la sua omosessualità con tranquillità in famiglia, i genitori lo amano, è l’ultimo di sette figli, ha tanti amici, ama viaggiare e divertirsi e nel viaggio c’è un po’ il messaggio dell’autore, perché viaggiando conosci gente ed impari a non avere pregiudizi. 

In tutto il mondo assistiamo al moltiplicarsi di episodi di intolleranza, il vostro spettacolo sembra proprio in controtendenza…

Indubbiamente è un testo di impegno civile e  politico. Noi attivisti lo sappiamo, c’è ancora tanto da fare per sensibilizzare, questo è uno spettacolo che ti spinge a porti delle domande. Per questo spero che continui con nuove repliche anche l’anno prossimo.

Avete mai avuto problemi durante le repliche, qualcuno si è mai lamentato dell’argomento trattato? 

Al contrario, in molti sono venuti ad abbracciarci e ringraziarci commossi, per me questo spettacolo è un grande regalo perché è la prima volta che riesco ad unire il mio lavoro di attore al mio impegno civile e questa è la forza ancestrale che ha il teatro, quella di spezzare il pregiudizio. 

L’Italia è un Paese omofobico?

C’è ancora difficoltà a parlare di questi temi, specie in provincia, bisogna parlarne e a lungo. Siamo in un momento in cui rischiamo che una cultura machista, eterosessuale e borghese prenda il sopravvento, il ddl Pillon ne è un esempio. Bisogna mantenere alta la guardia perché, come diceva Tina Anselmi, nessuna conquista è definitiva.

A proposito di impegno civile, lei dirige con successo da quattro anni il Giacinto Festival Nature LGBT. Ci anticipa qualcosa della prossima edizione? 

Anche noi del Giacinto festeggeremo i 50 anni che ricorrono quest’anno dei Moti di Stonewall con un grande evento. Il tema della 5° edizione del Festival sarà “Orizzonti e non Confini”, proprio per sottolineare il periodo storico che stiamo vivendo, e lo festeggeremo con un padrino d’eccezione: Luca Trapanese, il papà gay che ha adottato una bimba down, la piccola Alba, anche con lui parleremo di genitorialità e pregiudizi.

Nadia Germano Bramante 

 

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