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“Cassonetto differenziato per il frutto del peccato”

Dieci giorni fa il ritrovamento del neonato abbandonato a Ragusa. Una triste vicenda che ha scosso l’intera opinione pubblica nazionale

(15 novembre 2020)

Circa 10 giorni fa, a Ragusa, è stato trovato un bambino appena nato, gettato nella spaziatura con il cordone ombelicale ancora attaccato. A trovare il neonato una persona che ha sentito dei lamenti provenire da bidone. Il bambino è stato poi affidato alle cure del 118 e trasferito all’ospedale Giovanni Paolo II.

Una vicenda triste e macabra che ha scosso l’opinione pubblica, tanto da diventare un caso nazionale.

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Daniela Iurato, docente di diritto.

“Un bambino abbandonato in un cassonetto, come fosse un rifiuto, non è una novità nella odierna società, anzi! E’ fortunato se sopravvive. E’ proprio questo, Fortunato, il nome che è stato dato al neonato trovato a Ragusa da un passante, la sera del 4 novembre scorso, inserito in un sacchetto di plastica, all’interno di un cassonetto dell’indifferenziata. Il bambino, subito ricoverato presso il reparto di Neonatologia dell’Ospedale “Giovanni Paolo II” di Ragusa, era con il cordone ombelicale non legato e non era stato nemmeno allattato. Tutte le superiori circostanze inducono a ritenere che se ne volesse la morte. Nell’antica Roma il fenomeno dell’abbandono e dell’infanticidio ricalcava sostanzialmente quello dell’antica Grecia; anche qui il bambino era dipendente dal totale arbitrio del padre (pater familias), che aveva sul neonato il cosiddetto ” ius vitae ac necis”, che oggi sembrerebbe esteso anche e soprattutto alla “mater familias”.
Ma come si può avere tale disprezzo per la vita di un neonato? Come si può considerarlo uno scarto?
Senza volersi ergere a giudici, senza voler puntare un dito accusatore, certe riflessioni sono d’obbligo.
Trattasi di un gesto disumano, sacrilego, inaccettabile, atroce, quali che siano le motivazioni alla sua base, salva soltanto l’ipotesi che si trattasse di madre
inferma di mente. E, laddove fosse stata costretta a tale aberrazione da un terzo, è dovere di una madre accogliere la vita nel suo grembo,
dal concepimento sino al parto. Poi, potrà anche decidere di lasciare il neonato in ospedale, essendo consentito di partorire in anonimato. Possibile preferire per lui la morte? E se l’insano gesto non dipendesse dalla madre, che denunci! Trattasi di reato di abbandono di persone minori o incapaci, e, in caso di decesso, di infanticidio; inoltre, costituisce reato la stessa condotta omissiva.
Bisognerà creare un cassonetto differenziato per il frutto del peccato? Come nella famosa canzone di Elio e le storie tese. “Non sono come gli altri bimbi
che son frutto dell’amore. Io sono sfortunato, sono frutto del peccato e vivo nel cassonetto. I frutti veri e propri si trovan nel frutteto, i frutti di mare si trovano nel mare; i frutti del peccato si trovano nel mare e nel frutteto, dentro al fiume e nel laghetto, nella siepe sotto casa o più probabilmente in un sacchetto nel cassonetto”.
Col tempo, nessuna soluzione al rimorso, all’eventuale pentimento. Allora, non resterebbe che vivere nel silenzio. Un silenzio opprimente e devastante. Ove mai si possa trovare un po’ di umanità nel cuore di chi tanto ha osato.
Ma, a proposito di silenzio, non si può non spendere una parola, come da qualche parte si è giustamente rilevato, sul silenzio del mondo di fronte alla immensa discarica che è diventato il grembo delle madri che ricorrono all’aborto. Nessuno che si elevi e gridi contro questo massacro silenzioso!
Non lasciamo che la vita di un essere fragile, indifeso e incolpevole sia appesa al filo della follia, dell’indifferenza e della crudeltà umana! Opponiamoci al libero arbitrio di chi compatta la vita al pari di un rifiuto. E inchiodiamo alle proprie responsabilità la società, prima e più grande colpevole. Lo Stato ha il dovere di creare alternative concrete e urgenti all’abbandono e all’aborto da parte di gestanti sempre più confuse, abbandonate a se stesse, senza un entourage che le faccia sentire tutelate e protette, che spesso vivono la gravidanza come malattia o comunque come evento inaccettabile, che si scontra coi loro ritmi e coi loro progetti di lavoro e di vita, preveniamo gli stati d “incoscienza morbosa” con opportuni e preventivi interventi sanitari. E, soprattutto, si faccia una campagna informativa assordante e martellante, che invogli a preferire all’abbandono, all’aborto e alla uccisione dei neonati le culle per la vita. Sì, le culle per la vita! Siano debitamente e puntigliosamente pubblicizzate quelle che si possono considerare le versioni moderne della medioevale “Ruota degli Esposti”. Esistono in Italia, in ogni regione, varie strutture del genere, facilmente raggiungibili, ideate per permettere di lasciare, totalmente protetti, i neonati, nel più totale rispetto della loro sicurezza e della privacy della mamma che lo deposita, garantendone l’anonimato.
La culla per la vita è dotata di dispositivi di riscaldamento, di chiusura di sicurezza della botola, usufruisce di controllo h 24 ed è in rete con il servizio di soccorso medico per un pronto intervento diretto alla tutela dell’integrità fisica del bambino. Ma, soprattutto è un’alternativa adeguata, di accoglienza e di vita, che serve ad evitare un estremo, abominevole gesto di rifiuto”.
Daniela Iurato

 

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