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Ragusa – Un lavoro di squadra contro il caporalato

Ieri la presentazione del progetto "Nuove radici: coltiviamo diritti"

(17 giugno 2022 – Ragusa – Un lavoro di squadra contro il caporalato)

di Carmelo Riccotti la Rocca – Tratto da La Sicilia

Sul caporalato, in provincia di Ragusa, si è fatto tanto lavoro, ma spesso, causa fattori diversi, non sono arrivati i risultati sperati. A puntare sul concreto, adesso, è l’iniziativa “Nuove radici: coltiviamo diritti” che fonda le basi in un progetto sinergico che vede coinvolte diverse realtà del territorio con un obiettivo comune: favorire l’integrazione di stranieri che almeno da 5 anni vivono in Italia dando loro gli strumenti per realizzarsi dal punto di vista lavorativo evitando che cadano nella rete del caporalato. Ieri a Ragusa, nella tenuta di contrada Magnì di proprietà della Diocesi di Ragusa, si è tenuta la conferenza stampa di presentazione del progetto promosso dalla Fondazione San Giovanni Battista di Ragusa in collaborazione con Oxfam intercultura e “Terre senza frontiere”. All’iniziativa erano presenti il Vescovo Giuseppe La Placa, il Prefetto di Ragusa Giuseppe Ranieri, Giusy Agnello, Questore di Ragusa, Michela Bongiorno, Dirigente dell’Ufficio Speciale Immigrazione della Regione Siciliana, il presidente della Fondazione San Giovanni Battista, Renato Meli, in qualità di ente capofila, Salvatore Maio di Oxfam intercultura, Giovanni Di Natale Sindaco di Acate, Maria Rita Schembari Sindaco di Comiso, Giuseppe Cassì Sindaco di Ragusa, Francesco Aiello Sindaco di Vittoria, e le associazioni aderenti al progetto. L’obiettivo comune di tutti i soggetti coinvolti in questa iniziativa è stato perfettamente sintetizzato dalle parole del Vescovo Giuseppe La Placa che ha parlato «di impegno sinergico e lavoro di squadra per il contrasto del fenomeno del caporalato nella nostra provincia, una vera e propria spina nel fianco che danneggia soprattutto i soggetti più fragili e vulnerabili che risiedono nel nostro territorio». La provincia di Ragusa, storicamente a vocazione agricola, conta una vastissima presenza di lavoratori provenienti da paesi terzi, impiegati per la maggior parte come braccianti nelle serre della cosiddetta fascia trasformata ma i cui diritti vengono quotidianamente calpestati. Questo progetto vuole quindi essere uno strumento a servizio della collettività per aprire degli spiragli concreti di miglioramento delle condizioni di vita, lavorative e non solo, dei tanti cittadini immigrati che risiedono nella nostra provincia e che hanno lasciato le loro terre per costruirsi un futuro prospero e dignitoso. Nello specifico – continua mons. La Placa – bisogna restituire loro «l’anima e l’autostima perduta, perché quando le persone diventano vittime di uno sfruttamento strutturale vengono innanzi tutto privati della loro dignità». Il progetto prevede, nel concreto, la formazione di diversi lavoratori stranieri che diventeranno imprenditori coinvolti in due cooperative agricole che faranno impresa sfruttando le terre concesse dalla Diocesi di Ragusa.

Caporalato – il fenomeno in provincia di Ragusa

Il contesto agricolo in provincia di Ragusa è sicuramente quello più complesso, è il settore che da certamente respiro all’economia, ma nasconde anche un sottobosco fatto di sfruttamento e di violenze. In particolar modo nelle zone della cosiddetta fascia trasformata (Santa Croce, Vittoria, Scoglitti Acate) vivono e lavorano migliaia di uomini e donne di paesi stranieri, a volte anche di seconda generazione, sottoposti ad uno sfruttamento lavorativo strutturale. Operazioni di polizia, ma anche inchieste giornalistiche, hanno fatto emergere una realtà di degrado che va oltre l’immaginario collettivo. Una delle piaghe dilaganti riguarda la condizione lavorativa con miglia di famiglie che lavorano nella fascia trasformata del ragusano che vivono all’interno di capannoni dentro le aziende stesse o in casolari abbandonati, spesso senza luce e acqua. L’isolamento dal contesto urbano è un altro dei fattori che concorre a rendere vulnerabili e ricattabili i lavoratori e le lavoratrici: dipendono dal caporale o dal “padrone” per andare a fare la spesa o per raggiungere un ospedale o una farmacia. Oltre ai lavoratori magrebini negli ultimi anni si sono aggiunti i lavoratori sub sahariani, spesso ospiti di strutture di accoglienza, che hanno concorso ad alimentare quella “guerra tra poveri” che, abbassando i salari e i diritti, ha favorito un rafforzamento delle forme di sfruttamento lavorativo e non solo.

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